Il Collettivo Spazio d’Azione Visuale ha inteso fare propria una specifica idea di “fotografia” attraverso cui operare: la comunicazione artistica. Più precisamente, il riferimento è alla fotografia che rispetta i principi che guidano un approccio rigorosamente creativo: a) porre domande anziché cercare risposte; b) dedicarsi consapevolmente alla costruzione, anziché cercare l’oggettività; c) elaborare una teoria e un metodo che consentano di assegnare significati alle domande e alle costruzioni; d) osservare dalla prospettiva del secondo ordine; e) la ricerca di una forma della complessità, cioè di una logica delle scelte.
Con riferimento alla storia, proponiamo una fotografia “artistica”, che pone le sue basi nella fotografia documentaria, o per meglio dire dallo stile documentale. Una fotografia che fa proprio il paradigma surrealista delle grandi avanguardie del ‘900 e che utilizza gli stilemi alla base della fotografia di “documento”, dei fatti e degli eventi socio-culturali, tipica dei mass-media, spostandoli funzionalmente in ambito artistico; una fotografia che opera una consapevole appropriazione dei caratteri che caratterizzano il reportage (mass-media) e li assume come propria poetica ed estetica. In questo modo, la fotografia non è più da intendersi come una rappresentazione delle cose, ma come il medium che privilegia il rapporto, non solo visivo, con esse; un processo performativo che vede il soggetto implicato al suo interno e l’oggetto modificato dal suo intervento. L’idea consiste nel portare dentro la pratica del reportage gli elementi che questa pratica escludeva, in una logica anti-reportagistica, sovvertendo così una pratica accademica consolidata e assumendo modalità improprie ad essa, come la serialità, l’automatismo, l’improvvisazione, l’inquadratura diretta antisoggettivista, fino all’uso del materiale d’archivio e di media complementari o diversi rispetto al mezzo fotografico inteso in senso proprio. Una forma, o uno stile, che non intende fare proprie vecchie pratiche di un certo reportage documentario, ma una configurazione che richiede una continua rinnovata comprensione di sé e una progressiva ridefinizione dell’approccio e dell’idea di fotografia a cui riferirsi, per salvaguardare il riferimento allo “stile documentale” evitando però di cadere nel manierismo formale che ne potrebbe facilmente scaturire.